
di Maurizio De Caro
“Ciò che infonde coraggio ai nostri sogni è la profonda convinzione di poterli realizzare”, così il grande architetto le Corbusier stigmatizzava la difficoltà tutta politica, ieri come oggi di spingere l’intelletto, la visionarietà dell’architettura oltre quelle che vengono considerate le possibilità della tecnica e del pensiero corrente.
Per il ponte/tunnel di Messina si sono scatenati per decenni o secoli posizioni romantiche utopistiche, irragionevoli o semplicemente irrealizzabili, naturalmente se pensiamo a quello che si può fare e a quello che si potrebbe immaginare. Il dibattito è stato rilanciato dal premier Giuseppe Conte durante “La Piazza”, intervistato dal direttore di Affaritaliani.it Angelo Maria Perrino, Un dibattito che da due giorni occupa le pagine di tutti i giornali.
Non voglio fare filosofia della progettazione ma l’idea di Conte giunge in un momento in cui la Politica deve dirci se è ancora in grado di creare le condizioni per buttare il cuore, anche metaforicamente, oltre l’ostacolo.

Poi si parlerà dei miliardi di euro, dei problemi di eco-compatibilità ambientale della mega-struttura e del controllo sullo sviluppo di questa impressionante infrastruttura, tra Ingegneroni e Studiosoni che cominceranno a schierarsi per l’una(ponte) o l’altra(tunnel) soluzione, ma intento bisogna dare il merito al Presidente di aver tolto le castagne dal fuoco di aver voluto stanare le migliori energie creative dal torpore della consuetudine.
Perché ci dovrebbero essere vincoli teorici alla realizzazione del progetto? Perchè bisogna accettare la consuetudine tecnologica e applicarla a quanto e semplicemente possibile realizzare.
Un ponte o un tunnel sono progetti già visti e realizzati, e a decine, in tutte le parti del mondo, e Scilla e Cariddi non fanno certo più impressione delle altre ubicazioni, ma ripeto io parlo da progettista non da tecnologo o strutturista per cui, mi piacerebbe spostare l’ago del dibattito sul significato di quanto è possibile realizzare, con i mezzi attuali e quello che è possibile immaginare sperimentando le forme più estreme di innovazione, oggi sconosciute.
Il collegamento serve e su questo nessuno discute da decenni, la sua realizzazione preoccupa da sempre ma nessuno fino ad oggi ha voluto creare le condizioni per arrivare all’attivazione di un programma/progetto e soprattutto ha scelto le modalità preliminari di esecuzione, dunque: ponte o tunnel?
Qualcuno finalmente dovrà scegliere e decidere (parola desueta nella politica contemporanea) se quello che può diventare il simbolo, troppo spesso annunciato di una rinascita e di una nuova stagione di infrastrutture moderne, sostenibili e soprattutto auspicabili per quei disastrati territori, questo affinchè tutto non si riduca d una sterile diatriba tra Ordini di Ingegneri.
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